da www.calypsosub.it Il mito dei palombari dell'Artiglio |
I marinai viareggini erano famosi non solo sopra l'acqua, a bordo dei mitici velieri conosciuti come «barcobestia»: se la cavavano niente male anche sott'acqua, nelle vesti scomode e ingombranti dei palombari. Lo attestano - nei primi anni Trenta - almeno un paio di tavole disegnate da Beltrame per la «Domenica del Corriere» e dedicate agli uomini dell'«Artiglio», la celebre nave recuperi che legò il nome di Viareggio a un'esaltante epopea di coraggio, tecnologia e geniale artigianato. La storia dell' «Artiglio», che Viareggio ha celebrato con un Premio internazionale (consegnato il 28 aprile 2005 al teatro Eden alla memoria del comandante Jacques-Yves Cousteau), ha tutti gli ingredienti per appassionare: c'è il tèsoro sommerso a bordo dell'«Egypt», un transatlantico inglese colato a picco nel 1922 nella Manica; c'è la caccia ostinata e paziente al relitto. C'è l'inopinata tragedia con l'esplosione in mare e la scomparsa di un gruppo di uomini coraggiosi: c'è, infine, la rivincita, con il recupero dei lingotti d'oro e argento affondati da parte del secondo «Artiglio»: un'impresa allora giudicata impossibile. L'avventura dell' «Artiglio» comincia nella seconda metà degli anni venti quando la società di recuperi marittimi del genovese Giovanni Quaglia, la Sorima, ingaggia un gruppo di palombari viareggini guidato da Alberto Gianni. Viene allestita una flotta di navi recupero: l'«Artiglio», il «Rostro» e l'«Arpione», cui successivamente si aggiungeranno il «Raffio», il «Rampino» e il «Rastrello», tutti «nomi con le unghie». Con il passaggio alla Sorima i palombari viareggini lasciano i tradizionali scafandri in caucciù per indossare gli scafandri metallici della Neufeldt & Kunke, che li fanno somigliare a strani robot marziani. Ma neppure queste armature d'acciaio funzionano bene a tali profondità: così Gianni progetta e costruisce la torretta batoscopica: un cilindro dotato di oblò di osservazione, che può essere calato a quote proibitive. Nel 1928 la flottiglia della Sirima recupera un carico di zanne di elefante dalla carcassa della «Elizabetville», nave da carico affondata, dopo un siluramento, nel Golfo di Biscaglia. Nel 1929 arriva l'ordine di cercare il relitto dell'«Egypt», che cela nella sua stiva oro e argento per il valore di oltre un milione di sterline. Ci hanno provato, senza esito, navi recupero francesi, inglesi, tedesche e scandinave. Ci riescono gli uomini di Gianni, con un sistema di scansione sottomarina, dopo aver delimitato un ampia area di mare, l'«Artiglio» e il «Rostro» arano il fondo con un cavo d'acciaio. Dopo numerosi falsi allarmi, il 29 agosto del 1930 viene individuato il relitto dell'«Egypt», su un fondale di 130 metri nei pressi di Brest. Ma si avvicinano le burrasche d'autunno, e così la Sorima rimanda alla bella stagione il recupero del tesoro sommerso, inviando l'«Artiglio» a demolire la carcassa del «Horence», nave americana adibita al trasporto di munizioni e affondata nel 1917 davanti alle coste bretoni. La nave, che giace su un basso fondale, è una vera polveriera sommersa. Lo smantellamento procede a colpi di mina. Il 7 dicembre 1930 è il giorno fatale. Una carica innesca l'esplosione di 150 tonnellate di munizioni celate nel ventre del «Florence»: è un'immane deflagrazione che distrugge anche l'«Artiglio», troppo vicino al relitto, meno di 200 metri. Muoiono Alberto Gianni, i palombari Aristide Franceschi e Alberto Bargellini e 9 componenti dell'equipaggio. Poteva essere la fine, fu invece l'inizio della rivincita. I colleghi di Gianni, a bordo di un nuovo «Artiglio», ripresero la sfida dell' «Egypt». Il 22 giugno 1932 venne recuperato il primo lingotto d'oro, con una benna calata nella camera del tesoro del transatlantico. E fu il trionfo dei palombari viareggini. |
1 commento:
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Ti ho segnalato per il premio Dardos. Sono un tuo convinto lettore e sostenitore.
Enjoy your life
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