GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DONNA
Al giorno d'oggi l'8 Marzo è una data molto attesa, soprattutto dai fiorai, che percepiscono grossi guadagni vendendo una grande quantità di mazzettini di mimose, divenute il simbolo di questa giornata.
Ma qual è il significato reale e l'origine di questa ricorrenza?
Chi per ricordare la rivolta pacifista delle operaie di Pietrogrado, l’8 marzo 1917.
Chi, come il bollettino del Pci Propaganda nel ’49, per celebrare l’8 marzo 1848, quando le donne di New York scesero in piazza per avere i diritti politici.
Chi in memoria dell’incendio del 1911 (con la data sfalsata di due settimane e passa)
e chi di un fantomatico incendio a Boston nel 1898.
Col risultato che alla fine, a forza di passaparola e di equivoci, ne è uscito un collage, fissato nel 1954 da un fumetto del settimanale della Cgil Il lavoro (che due anni dopo pubblicherà anche una specie di fotoromanzo assai raffazzonato) in cui si è mischiato tutto: date, luogo, episodi, numero dei morti, tutto.
Con la probabilità che siano stati confusi più incendi (81 nella sola New York e nel solo 1911 in fabbriche di quel tipo) compreso uno avvenuto effettivamente l’8 marzo (1908) alle scuole di Collingwood in cui erano morti 173 bambini e due insegnanti.
Per non dire del caos su chi, come e quando propose per primo la fatidica data oggi legata alle mimose.
Certo è che, fosse anche falso il collegamento storico, non c’è episodio nella storia delle donne più adatto a segnare un punto di svolta quanto la catastrofe alla Triangle Waist Company .
Le cinquecento ragazze tra i 15 e i 25 anni che lavoravano con un centinaio di uomini e rare colleghe più anziane, negli ultimi tre piani del palazzo,, facevano infatti una vita infame.
I padroni della camiceria, Max Blanck e Isaac Harris, avevano chiuso dentro gli operai: avevano paura che rubassero delle stoffe, o che si allontanassero dal lavoro.
E’ bene ricordare che quelle povere persone lavoravano in quell’ambiente per 12 e a volte 14 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, esclusa la domenica, per un ammontare fra le 60 e le 72 ore settimanali.
E che venivano pagate dai 6 ai 7 dollari la settimana.
Porte sbarrate dall’esterno quindi perché le ragazze non si allontanassero.
Mancavano venti minuti alle cinque del pomeriggio. Altri cinque e tutte le lavoratrici della camiceria si sarebbero alzate per tornare a casa, a Brooklyn.
Gli impiegati degli altri uffici del palazzo se n’erano andati a mezzogiorno.
Come fosse partita la prima fiammata, avrebbe ricostruito il giorno dopo il Daily Telegraph ripreso dal Corriere della Sera , non si sa.
L’incendio scoppiò all’ottavo piano e non fu di origine dolosa, seppure assolutamente prevedibile: lo stanzone era infatti pieno di stoffe infiammabili, il pavimento di legno era coperto di ritagli di stoffa, l’illuminazione era a gas e molti degli uomini fumavano e per l’eventualità di un incendio c’erano solo dei secchi d’acqua.
Ma in pochi istanti il fuoco attaccò i mucchi di stoffa dilagando per l’ottavo piano e avventandosi sul nono e sul decimo.
Fu l’inferno.
Le poverette cercarono di scendere per la scala anti-incendio ma era troppo leggera e cedette di colpo, mentre le fuggitive piombavano.
Alcune riuscirono a raggiungere l’ascensore, che per un po’ andò su e giù portando in salvo alcune decine di ragazze, poi cedette di schianto: nella tromba, a fiamme domate, sarebbero stati trovati una trentina di corpi.
Erano centinaia, le ragazze e le bambine italiane che lavoravano lì, sfruttate da quei carnefici. Centinaia.
E almeno 39 identificate («da un anello, da un frammento di scarpa») più dieci ufficialmente disperse, videro finire così il loro sogno americano.
I loro assassini, al processo, vennero assolti.
L’8 marzo, dopo tante rimozioni, ricordiamoci anche di loro.
Nessun commento:
Posta un commento